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Se venisse tassato il traffico Internet

E’ l’Ungheria il primo paese al mondo a proporre di tassare il traffico Internet. La reazione è stata immediata, pacifica e, sembra, efficace. Centocinquantamila manifestanti sono scesi in piazza ieri accendendo gli schermi dei propri smartphone in segno di protesta, come spettatori di un concerto senza musica. Pare che il messaggio sia stato recepito e che la proposta venga revocata.

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La tassa sarebbe stata di circa 50 centesimi di Euro al Gigabyte. Si potrebbe discutere se siano tanti o pochi, in senso assoluto o in senso relativo, rispetto al costo di un Gigabyte di traffico nei piani tariffari o rispetto al valore potenziale che un Gigabyte di traffico può generare. Ma non è questo il punto. Quello che ha spinto 150000 persone in piazza non sono stati i 6 euro all’anno che avrebbero dovuto spendere in media per navigare in Internet, ma la paura di essere tagliati fuori dalla rete e dal mercato digitale. Anche la più piccola barriera all’accesso ad Internet che venga eretta artificialmente e unilateralmente da un Paese rischia di avere conseguenze economiche molto più pesanti dell’introito che la tassa potrebbe portare nelle casse dello Stato e aumenta il digital divide che tutti gli altri cercano di combattere.

Il tentativo ungherese di tassare Internet è stato maldestro e probabilmente rientrerà, ma sono tanti i modi diretti e indiretti in cui i governi possono, anche involontariamente, compromettere i delicati equilibri della rete con conseguenze non sempre prevedibili e quasi sempre negative. L’esempio del resto del mondo e l’attenzione pacifica dei cittadini sono le migliori risorse di cui possono avvalersi i governanti per evitare errori grossolani nel mondo digitale.

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